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Archive for novembre 2010

E’ stata certamente una serata degustativa che i presenti ricorderanno a lungo la verticale storica di sei annate di Rosso del Conte Tasca d’Almerita che si è svolta il 18 Novembre 2010 presso la sede Ais Palermo Città l’ NH Hotel al Foro Italico del capoluogo siciliano. Resterà ben impressa, non soltanto per la memoria visiva degli splendidi colori che i vini provenienti dalle varie bottiglie dal diverso millesimo hanno mostrato nel bicchiere, per quell’olfattiva del variegato ventaglio sensoriale che queste sei annate sono riuscite a donare, e per quella gustativa che fa rivivere in bocca sensazioni che vanno dalla gioventù esuberante del 2006 alla fine saggezza del 1979, ma soprattutto, per il piacere e la consapevolezza che è stato possibile degustare un vino siciliano di grandissima finezza e longevità. Tra i presenti alla serata il Presidente dell’Istituto Regionale della Vite e del Vino Dino Agueci ed il Direttore Dario Cartabellotta, vari giornalisti di settore e numerosi sommeliers. Insieme a Giuseppe Tasca ho avuto il piacere di  ripercorrere la lunga storia del Rosso del Conte; Giuseppe con racconti personali e di famiglia, con la schiettezza che lo contraddistingue e con un pizzico di modestia, pur essendo consapevole del ruolo che l’azienda Tasca ha avuto nell’affermazione del brand Sicilia nel mondo, ha incantato i presenti, a me è toccato quale padrone di casa, commentare le note organolettiche espresse dalle varie annate. Il Rosso del Conte è il primo vino siciliano pensato, ben quarant’anni fa, per essere in grado di competere con i grandi vini rossi francesi Nel 1959 il Conte Giuseppe Tasca d’Almerita pianta una nuova vigna del vitigno principe siciliano Nero d’Avola nella tenuta di Regaleali, 400 ettari coltivati a vigneto, nella quale si alternano mandorli ed ulivi fra distese d’avena, grano ed alberi d’eucalipto. I terreni di coltivazione sono argillosi, fini, leggermente calcarei, ma il gran valore aggiunto è caratterizzato dall’ideale microclima, ove fra i 400 e gli 800 metri s.l.m. le escursioni termiche tra il giorno e la notte sono ben presenti. Dopo undici anni trascorsi tra prove e sperimentazioni, nel 1970 grazie alla collaborazione di un giovane ed intraprendente enologo Ezio Rivella, il vino nasce come Regaleali riserva del Conte Tasca d’Almerita, poi chiamato solo Rosso del Conte. Inizialmente nasce come Nero d’Avola, coltivato ad alberello, con una piccola aggiunta di un altro autoctono il Perricone. Nel corso delle varie edizioni ha subito alcune evoluzioni tecniche e stilistiche: dal ’70 all’87 è fermentato in vasche di cemento e maturato in botti di castagno, dall’88 fermentato in acciaio e maturato in fusti di rovere francese da 30 a 60 ettolitri, poi gradualmente vengono impiegate le barriques francesi. L’ultima modifica risale alla vendemmia ‘03, il Rosso del Conte diventa il vino di Tenuta, il Nero d’Avola è affiancato dalla migliore selezione vendemmiale delle altre uve a bacca rossa presenti nei terreni dell’azienda Tasca. Come avviene soltanto per i grandi vini le annate ritenute non all’altezza non vengono prodotte, per il Rosso del Conte è già successo per 5 volte.
La verticale si è svolta dal millesimo più giovane a quello più antico.

2006
E’ l’ultima annata, nel bicchiere è rubino lucente, il naso è un’esplosione di frutta fresca, marasca, ciliegia ed amarena, fusa con le note erbacee, le spezie e la vaniglia, con accenni di tostatura ancora da fondersi con il gran frutto. In bocca è potente, ha polpa e freschezza, tannini esuberanti e termina con una lunga scia frutto sapida.

2004
Intrigante colore rosso rubino intenso, al naso complessi sentori di mora, prugna, note vegetali di macchia mediterranea, sentori mentolati, di vaniglia e spezie. Al gusto è di gran ricchezza d’estratto, di frutto carnoso e d’intensa mineralità, termina di lunghezza con tannini ancora in agitazione.

2000
L’annata è stata caratterizzata da un inverno particolarmente piovoso e da un’estate calda. Il colore è granato, all’olfatto è di gran finezza floreale, esprime amarena, cioccolato e suadenti note balsamiche. In bocca tornano i sentori del naso con una perfetta corrispondenza gusto-olfattiva e si dispiega morbidamente con il tannino perfettamente integrato.

1998
Nel bicchiere ha colore rosso granato di gran luminosità, al naso effonde sentori di frutti scuri macerati, pepe, cannella, tabacco, humus, note minerali e di grafite. La bocca è molto morbida ma sostenuta dall’ancora presente vena acida, i fini tannini fanno da preludio ad un finale persistente. Ad oltre dieci anni dalla vendemmia è godibilissimo.

1989
Annata siccitosa, primavera fresca ed estate non troppo calda. Affinato in botti di rovere di Slavonia da 30 e 40 ettolitri, il vino nel bicchiere si mostra granato lucente, ha il passo austero di frutto rosso sotto spirito, belle sensazioni di goudron, cuoio, muschio, pelliccia d’animale. tartufo, incenso. Una densità del tatto in bocca sorprendente, belle note di spezie e vaniglia, gran presenza del gusto aroma.

1979
Fermentato in vasche di cemento è affinato in grandi botti di castagno. Ha naso di sottile aromaticità, di viola appassita, frutta rossa spiritosa che emerge tra variegate note terziarie. In bocca è d’avvolgente morbidezza, con incredibili lampi di freschezza. Chiude con rimandi al frutto ed alle spezie, ai sapori di terra, fungo e humus.

Ogni annata ha mostrato caratteristiche di estremo interesse, ogni vino ha donato sfaccettature imprevedibili e diverse. Questo lungo escursus ha lasciato in tutti i presenti una consapevolezza: l’aver bevuto sorsi di storia della viticoltura siciliana.

Tutte le foto su www.aispalermo.it  qui

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Lunedì 8 Novembre 2010, invitato da Pier Paolo Messina, mi sono recato in territorio di Noto in contrada Buonivini presso la sua cantina Marabino per condurre insieme a lui un educational per un gruppo di cinquanta ristoratori della Sicilia sud-orientale sulla realtà della produzione biologica e biodinamica ed in particolare sul vino Doc Noto Nero d’Avola Don Pasquale ’09.  Si tratta del primo vino Doc Siciliano prodotto senza solfiti aggiunti, di questa etichetta Marabino sono state prodotte duemila bottiglie che alla prova degustativa ha mostrato caratteristiche di grande interesse. I vigneti dell’azienda sono coltivati secondo il metodo biologico-dinamico, Pier Paolo racconta di essere fermamente convinto che l’agricoltura debba essere rispettosa dell’ambiente fondendosi armoniosamente col suo ecosistema, ha messo in atto un’idea che lo ha sempre esaltato: produrre un vino del tutto naturale, senza solfiti aggiunti. “Inizialmente abbiamo collaborato con il professor Roberto Zironi dell’università di Udine in un progetto affidatogli dalla Commissione europea di Bruxelles, quando si è interrotto, noi abbiamo proseguito la sperimentazione su 50 quintali d’uva. La vinificazione è stata attuata con lieviti indigeni, l’affinamento è stato condotto solo in acciaio per evitare le contaminazioni da barriques,  il vino è andato in bottiglia senza filtrazioni o chiarificazioni, ed in essa raggiunge la sua stabilità. La longevità del prodotto dipenderà certamente dalla corretta conservazione della bottiglia”.

E’  indubbio che la richiesta ed il consumo d’alimenti “naturali”, cioè quelli ottenuti con il minimo uso di “chimica”, cresce costantemente. Nella conduzione dei vigneti in regime biologico si concima con sostanze organiche e minerali, non di sintesi, o con sovesci di leguminose ed in etichetta è possibile utilizzare la dicitura “prodotto con uve da coltivazione biologica”. L’impiego dei fumi d’anidride solforosa prodotta dalla combustione di zolfo per risanare tini e botti è una pratica utilizzata da tantissimo tempo. In vinificazione è stata impiegata solo dopo la Seconda Guerra Mondiale ed oggi il suo utilizzo è largamente diffuso per limitare le ossidazioni nel vino in modo da rendendolo conservabile più a lungo. Grazie alla sua azione antiossidante addebitata all’elevata tendenza a produrre ioni solfato,  l’anidride solforosa contribuisce a preservare l’intensità colorante del mosto-vino oltre a ridurne il potenziale ossido riduttivo. Ma non tutti gli effetti sono positivi, infatti, è stato riscontrato che in dosi elevate può nell’uomo provocare alterazioni nel metabolismo d’alcuni amminoacidi e della vitamina B1, la cui carenza modifica il metabolismo degli zuccheri causando il diabete. Sono state riscontrate, inoltre, reazioni allergiche ai solfiti in soggetti asmatici anche per assunzioni di dosi molto basse.

La legge fissa dei limiti di tolleranza al suo contenuto nel vino (160 mg/lt per i vini rossi, 210 mg/lt per i vini bianchi), la presenza nel vino superiore a 10 mg/lt (una piccola percentuale di questa sostanza si produce naturalmente durante la vinificazione) deve essere obbligatoriamente indicata in etichetta. Il produttore in biologico che sceglie di mettere in commercio un vino senza conservanti dimostra grande rispetto per la materia prima, ma anche un certo coraggio, in quanto il prodotto vino può andare incontro nel corso del tempo più facilmente a deterioramento. La raccolta delle uve è fatta manualmente in cassette e trasportata velocemente in cantina, dopo la pigiadiraspata è pressata delicatamente con una pressa sottovuoto. I processi fermentativi sono regolati attraverso il controllo della temperatura e senza l’aggiunta d’anidride solforosa, né sostanze d’origine sintetica o lieviti selezionati. Il principio è quello di non inquinare il mosto nel corso della lavorazione allo scopo di ottenere vini privi d’impurità nei quali i sapori originali dell’uva e le caratteristiche varietali siano in primo piano. I vini sono sicuramente più salubri, ricchi di sostanze benefiche quali i polifenoli, gli antiossidanti sono in concentrazione fino a quattro cinque volte in più ed i profumi naturali dell’uva sono esaltati. E’ certamente più facile e meno dispendioso mantenere sotto controllo lo stato microbico e ossidativo del mosto-vino praticando l’enologia convenzionale attraverso l’impiego dell’anidride solforosa,  ma è bene ricordare che l’eccessivo utilizzo di composti quali metabisolfito, carboni attivi, stabilizzanti, antiossidanti e altre sostanze chimiche, oltre ad essere nocivi per l’uomo, causano effetti che standardizzano i vini, i quali di anno in anno esprimono lo stesso aroma e sapore. I produttori di vini bio, invece, cercano di sostituire tecniche e metodi di natura fisica a quelli di natura chimica. La biodinamica, tecnica certamente più complessa, prende vita da una profonda filosofia: il vino è materia viva come la pianta, il vigneto e la terra che lo producono e questo riguarda tutto il ciclo produttivo, dalla pianta fino ad arrivare alla bottiglia.

Il Don Pasquale Noto Doc 2009 nel bicchiere ha viva limpidezza, il colore è rosso rubino con lievi riflessi porpora. L’impatto olfattivo è d’intensità, il Nero d’avola esprime senza filtri le sue peculiari note, floreale di viola, frutti rossi quali la marasca, la ciliegia e note speziate. In bocca chiara la matrice che riporta alla sensazioni olfattive, viva treschezza e ritorni fruttati nel piacevole finale.

Sorpresi e piacevolmente affascinati i ristoratori intervenuti all’evento che hanno potuto apprezzare lo splendido contesto nel quale sorge la cantina e tutti i vini di Marabino. La giornata si è conclusa con un buffet preparato dal ristorante “La Moresca” del relais Torre Marabino, una torre saracena del 1200 trasformata dalla famiglia Messina in splendida struttura d’accoglienza, che merita davvero una sosta.

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