In questi giorni, tutti i colleghi redattori della Guida Vini Buoni d’Italia stanno effettuando i tasting nelle varie regioni, vi sottopongo quello che scrive Bernardo Pasquali dal Veneto: “sono sconcertato! durante le degustazioni al Consorzio della Valpolicella per la Guida Vini Buoni d’Italia il Direttore, Emilio Fasoleti, mi ha portato una bottiglia di un vino che non avevo mai visto”.
Si tratta di un campione prelevato durante l’expo in Scandinavia appena svoltosi. Un produttore si è impossessato di questo vino che possiamo definire al limite della decenza e del rispetto delle regole. Il vino si chiama Primarone e non sfugge a nessuno il nesso inequivocabile con l’Amarone della Valpolicella. Viene però prodotto in Puglia con le uve Primitivo, da qui la prima parte della storpiatura della parola Amarone.
Il Primarone è prodotto da un certo Paolo Leo di San Donaci (BR). Il suo sito www.paololeo.it non riporta traccia di tale vino e, anzi, evidenzia una bella scelta di vini tipici del Salento, tra l’altro, mettendo in bella mostra anche una Gran Menzione all’ultimo Concorso di Vinitaly 2008 con un Negramaro. Ma dov’è finito il Primarone così fortemente decantato su nei paesi nordici?
Ci si accorge tra l’altro che su l’etichetta del Primarone si trova scritto Primitivo Puglia IGT. Lo stesso vino Primitivo Puglia IGT sul sito si chiama Limitone dei Greci. Ma la differenza ci può anche stare.
Leggiamo quello che c’è scritto in etichetta della bottiglia. La didascalia è lunga e prenderemo due frammenti interessanti:
“Primarone is produced using only the best hand – picked Primitivo grapes…” . Primarone è prodotto usando le migliori uve raccolte a mano di Primitivo.
“A Portion of these grapes follow a rare winemaking technique called appassimento…”. Una porzione di queste uve segue una rara tecnica di vinificazione chiamata appassimento.
La cosa che più lascia stupefatti è la facilità con cui l’azienda pugliese utilizza il nome Amarone per spiegare la tipologia del vino che ha prodotto. Nella brochure di presentazione si legge (lo mettiamo già tradotto dallo svedese all’italiano) “Vino di punta dall’Italia. Il nostro produttore del Sud Italia Paolo Leo è in gamba. Ha sviluppato completamente il suo vino di punta della proprietà. Metodo di produzione, come si usa per l’Amarone con uve Primitivo, che con il suo frutto pieno, succoso e potente, è incredibilmente popolare. Il risultato è questo eccezionale Primarone”.
Non ci sono dubbi sul fatto che qui si è voluto sfacciatamente sfruttare l’immagine di un vino di punta (questo sì!) come l’Amarone della Valpolicella per cercare di piazzare una spudorata imitazione. Sembra tra l’altro che di questo prodotto se ne sia già venduto più di 500.000 bottiglie. Su alcune brochure pubblicitarie di supermercati viene presentato un prezzo di 50 corone danesi che, al cambio di 7.4580 per un euro, significa che viene venduto a circa 6,70 euro. Posizionato vicino ai veri Amaroni, per una tipologia di consumatore ancora molto precoce, significa preferire questo finto Amarone al vero. Credo che sia un affare che non porta onore al settore vitivinicolo italiano. E poi ci lamentiamo tanto dei cinesi… Questo cavalcare l’Amarone, se da un lato conferma il grande valore di mercato di questo vino prestigioso, d’altra parte mette in evidenza un raro esempio di concorrenza sleale nei confronti di colleghi produttori.
Come Coordinatore del Veneto della Guida Vini Buoni d’Italia mi sento di dover difendere i produttori della mia regione e, in questo caso, della Valpolicella, ma soprattutto di difendere i valori delle aziende vitivinicole italiane che proprio per la tenacia e la serietà nel proporre qualità enologica hanno saputo far diventare un mito il “succo d’uva fermentato”, nel mondo. Nell’Amarone, come in tutti i grandi e piccoli vini autoctoni italiani, c’è la storia di un territorio, la vita di una famiglia, la competenza acquisita e la ricerca di intere generazioni. Non è solo un fattore di mercato, dobbiamo iniziare a rispettare il vino per quello che rappresenta pensando sempre a chi c’è dietro una bottiglia. La bottiglia nasconde umanità e passioni, fatiche e conquiste, sorrisi e lacrime, orgoglio e umile dedizione. Lì dietro c’è l’uomo, la natura, la vigna, le mani incallite dei nostri vignaioli, le economie di un’intera ruralità.
L’Italia, l’Europa vogliono affermare le identità dei loro prodotti e come tali esigono il rispetto delle regole. Vivamente spero che gli organi competenti possano bloccare questo scempio del valore del nome Amarone. Affinchè si possa consolidare la certezza che non viviamo in un mondo d’anarchia globale e che il rispetto delle regole non è un optional per i più fessi. Spero che Il Consorzio possa trovare giustizia da questo abuso e garantire tutti i produttori della Valpolicella. Lo spero anche per tutti i produttori italiani che un giorno potrebbero vedersi storpiati i loro gioielli di famiglia. Spero anche che i colleghi e amici giornalisti possano occuparsi e dare rilievo a questo fatto che lede l’immagine del vino italiano nel mondo. Su questi avvenimenti e su queste tematiche c’è bisogno di fare squadra e di stare dalla parte di chi intende seriamente il vino.
Che dire l’ennesima cafonata italiana, giocare sull’equivoco del nome è veramente disdicevole !!